Al giorno d’oggi possiamo tutelare la nostra reputazione online grazie al diritto all’oblio, che prevede di cancellare notizie da Google o dagli altri motori di ricerca o, in alternativa, la loro deindicizzazione. I criteri secondo il quale è possibile appellarsi al diritto all’oblio sono diversi e, nel caso in cui i contenuti dovessero riguardare dei crimini, vicende giudiziarie o condanne ancora in corso, la decisione se rimuovere o meno un contenuto diventa più complicata. A tal proposito oggi vi parleremo di alcuni recenti provvedimenti del Garante Privacy italiano.
Provvedimento n. 9574955 del 1°ottobre 2020
In questo provvedimento un cittadino ha chiesto al motore di ricerca Google LLC la rimozione di alcuni URL, associati al suo nominativo, e collegati ad articoli riportanti il testo di una lettera scritta da un privato contenente dati personali dell’interessato e riguardante presunte condotte illecite da lui compiute. In particolare, il reclamante, ha lamentato che la perdurante reperibilità di queste informazioni pregiudicano la sua reputazione personale e professionale, soprattutto in virtù del fatto che tali informazioni, risalenti a circa tre anni prima, sono prive di alcun fondamento oggettivo tenuto conto del fatto che, a fronte delle condotte descritte, non è mai stato attivato nei suoi confronti alcun procedimento penale, civile o amministrativo.
Inoltre, nella lettera venivano pubblicati dati estremamente sensibili come l’indirizzo ed il piano del proprio domicilio. In questo caso, Google ha comunicato di non poter accogliere la richiesta in quanto gli URL oggetto di richiesta rimandano a pagine contenenti il testo di una lettera scritta nel marzo del 2017 dal presidente di un circolo culturale e fa riferimento ad una denuncia di presunte condotte abusive commesse dal reclamante che, approfittando della propria carica professionale, avrebbe ostacolato lo svolgimento delle attività culturali organizzate dal circolo stesso.
Secondo il motore di ricerca si tratta di informazioni che tuttora rivestono interesse pubblico in virtù del ruolo rivestito dal reclamante sia in passato che attualmente, in quanto svolge mansioni amministrative presso un ente locale territoriale. Il Garante, preso atto di tutta la documentazione presentata dalle parti chiamate in causa, ha rilevato che i contenuti reperibili tramite gli URL riguardano il testo di una lettera scritta da un privato riportata tra virgolette senza l’aggiunta di alcun ulteriore contenuto di tipo giornalistico relativamente ai fatti descritti.
Secondo il Garante la perdurante reperibilità di tali informazioni, che sono prive di riscontri oggettivamente verificabili, creano un impatto del tutto sproporzionato tra i diritti del cittadino ed i diritti della collettività rispetto alla conoscibilità della vicenda. Inoltre, non risulta che ci sia stato alcun seguito giudiziario ed in ordine alle quali risulta peraltro essere stata presentata denuncia-querela nei confronti dell’autore della lettera. Per tutte queste circostanze, specificate dal Garante Privacy, il reclamo è stato ritenuto fondato
Provvedimento n. 9232581 del 4 dicembre 2019
In merito a questo provvedimento, un cittadino ha chiesto a Google la rimozione di notizie dal web, associate al suo nominativo, e collegate ad un articolo giornalistico riguardante un procedimento giudiziario che lo vedeva coinvolto. In particolare, il reclamante, lamentava che la perdurante reperibilità di informazioni risalenti a tale procedimento, concluso con una condanna in primo grado poi parzialmente riformata in appello, pregiudicano la sua reputazione personale e professionale, soprattutto in virtù del fatto che la vicenda risaliva a 9 anni fa.
Una volta pervenuta la richiesta di deindicizzazione, Google LLC ha comunicato di non poterla accogliere in quanto ha ritenuto ancora sussistente l’interesse pubblico a conoscere la relativa vicenda. In particolare, il motore di ricerca, ha specificato che il cittadino è stato condannato per truffa e la natura giornalistica dell’articolo esclude i presupposti per invocare il diritto all’oblio. Infatti, la vicenda narrata nell’articolo, è stata oggetto di un recente accertamento, concluso del 2017, che ha confermato la condanna già pronunciata dal giudice di primo grado con riguardo al reato di truffa.
Il Garante, preso atto di tutta la documentazione presentata dalle parti chiamate in causa, ha rilevato che i fatti descritti nell’articolo sono stati oggetto di valutazione attraverso due diversi gradi di giudizio, che si sono conclusi con l’accertamento della responsabilità dell’interessato riguardo al reato di truffa. Il giudizio in appello ha confermato la decisione del giudice di primo grado e, considerando la gravità della condotta posta in essere dal reclamante, ha ritenuto che non vi fossero le condizioni per la concessione dei benefici di legge.
Il Garante inoltre ha rilevato che, sulla base delle informazioni reperite dal registro delle imprese, il reclamante risulta svolgere un’attività simile a quella in relazione alla quale è stato commesso il reato, motivo per cui ha ritenuto ancora sussistente l’interesse pubblico alla conoscibilità della vicenda. Alla luce di quanto sopra descritto, a che in questo secondo caso analizzato, il Garante Privacy ha ritenuto il reclamo infondato.