Il diritto all’oblio è identificato come il diritto che ha ogni cittadino di cancellare dal web i propri dati personali e le vicende giudiziarie che lo riguardano, colpevole o innocente che sia, nei casi in cui non siano più attuali ed è venuto meno l’interesse pubblico. Questo diritto, in pratica, risponde all’esigenza di non vedere più associato il proprio nominativo a contenuti presenti su Google o su altri motori di ricerca che utilizziamo sul web.
Tecnicamente parlando, si tratta di una modalità con il quale è possibile applicare il diritto alla nostra identità personale, chiedendo alla rete di “dimenticare” ciò che pensiamo non debba più fare parte della nostra identità digitale. Rientra a far parte di questa modalità, nella maggior parte dei casi, la deindicizzazione dei contenuti. Vediamo di cosa si tratta e come togliere notizie da Internet.
Cos’è la deindicizzazione
La deindicizzazione è quel procedimento che si applica per rimuovere informazioni personali da Internet e dall’indice dei motori di ricerca come, ad esempio, Google. Deindicizzare un contenuto non significa rimuoverlo completamente dalla rete ma semplicemente ne limita la visibilità all’interno dei risultati che appaiono dai motori di ricerca stessi. Possiamo quindi dire che deindicizzare un contenuto significa che, nonostante rimanga sul web, non è più accessibile tramite i motori di ricerca.
Dopo quanto tempo si può deindicizzare un contenuto dal web
Molto spesso, come stabilito dalle recenti sentenze della Cassazione o del Garante per la Privacy, devono trascorrere almeno due anni prima di poter procedere alla richiesta di deindicizzazione. Si tratta comunque di un termine arbitrario in quanto spetterà sempre al giudice valutare se sia opportuno o meno accogliere la richiesta del cittadino interessato. La Cassazione, in merito a questo aspetto, ha più volte chiarito che vanno sempre valutati degli aspetti molto importanti.
Va valutata, ad esempio, l’attualità della notizia, che deve essere riferita non già al processo in quanto, se ancora in corso, andrebbe ad aumentare in maniera esagerata i tempi del diritto all’oblio ma, secondo la Cassazione, bisogna avere come riferimento soltanto il fatto storico. Ad esempio, se parliamo di una vicenda giudiziaria del 2012, seguita poi da un rinvio a giudizio nel 2015, tale vicenda può essere ritenuta ormai “superata” in quanto sono già trascorsi tre anni. In pratica la Cassazione, con questa sentenza, ha voluto “parcellizzare” il diritto all’oblio, considerando che la vicenda è tuttora in corso, legandolo diversamente ad ogni singola fase del procedimento processuale.