Il diritto all’oblio trova sempre più tutela e corrisponde al diritto di veder cancellati i dati personali finiti in qualche modo sul web. Vantare il diritto all’oblio, significa infatti poter richiedere la rimozione di articoli, notizie, informazioni o il proprio nome dai motori di ricerca.
Ma è ormai giurisprudenza consolidata che se da un lato il soggetto tutelato potrà far valere il diritto alla riservatezza e alla privacy, dall’altro lato questo diritto dovrà essere bilanciato con l’interesse del motore di ricerca all’informazione.
Il più delle volte, in ipotesi controverse, ci si appella al Garante della Privacy, autorità competente alla verificazione del rispetto delle norme sulla privacy e sul codice in materia di dati personali.
I precedenti giurisprudenziali
Non di rado e, anzi, molto di frequente la giurisprudenza si pronuncia in materia di diritto all’oblio. Nota è la sentenza della Corte EDU (c.d. sentenza Costeja) del 2014 e più di recente è possibile richiamare la sentenza della Corte EDU nella causa C-136/17 del 24 settembre 2019 (c.d. sentenza “Google 2”), a tenore della quale il sacrificio dei diritti dei soggetti indagati deve essere strettamente necessario rispetto ai dati giudiziari trattati, ed in ogni caso, proporzionato e non eccedente rispetto alle finalità per il quale il trattamento dei dati viene attuato.
Pertanto, l’interessato ha il diritto di richiedere ai motori di ricerca come Google di rimuovere determinati risultati all’interno delle query correlate al nome di un utente. Dall’altro lato, i motori di ricerca saranno tenuti a vagliare le richieste di deindicizzazione e rimozione dei contenuti online che sono presentate dagli interessati, decidendo poi se accogliere o meno in base al bilanciamo dei due contrapposti interessi sul piano della privacy: il diritto all’oblio e il diritto di cronaca e di informazione.
Il caso Yahoo
In materia è intervenuta la Corte di Cassazione, con una recentissima sentenza la numero 3952 del 2022 ed ha proposto la sua soluzione sul caso del diritto all’oblio di Yahoo!.
Yahoo! promuoveva ricorso innanzi al Supremo Consesso, che stabiliva che la rimozione della copia delle cache, cioè la memoria principale in cui risiedono i dati che riguardano informazioni accessibili tramite un motore di ricerca, è necessitata dall’effettuazione di un bilanciamento tra il diritto all’oblio dell’interessato ed il diritto storiografico inerente all’acquisizione dell’informazione relativa ai fatti nel loro complesso attraverso parole chiave differenti dal nome della persona. Dunque, a seguito di questa sentenza si evince che anche per rimuovere le cache ci sarà bisogno di bilanciare i diritti del singolo e della collettività.