In data 30 aprile 2020 il Garante della Privacy, invocato ai sensi dell’art. 77 del Regolamento da un privato, si pronunciava con questo provvedimento circa la rimozione di determinati risultati di ricerca aventi ad oggetto contenuti inerenti ad una vicenda giudiziaria, atteso che l’interessato aveva ottenuto il beneficio della sospensione condizionale della pena.
Oggetto della vicenda
Il reclamo presentato per la rimozione delle notizie pregiudizievoli, regolarizzato in data 20 maggio del 2019, presentato al Garante della Privacy, aveva ad oggetto la richiesta di ordinare a Google LLC ed a Microsoft Corporation, rispettivamente in qualità di gestori dei motori di ricerca “Google” e “Bing”, la rimozione dai risultati di ricerca reperibili in associazione al nominativo dell’interessato di alcuni URL collegati ad articoli contenenti notizie relative ad una vicenda giudiziaria nella quale è stato coinvolto, conclusasi nel 2017 con una sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti della quale non è fatta menzione nel certificato del casellario giudiziale, e con la contestuale concessione del beneficio della sospensione condizionale della stessa pena.
In particolare, il richiedente si doleva del pregiudizio relativo all’immagine e alla reputazione personale, oltre che professionale, derivante dalla reperibilità in rete delle informazioni di cui si è detto. Altresì, lo stesso lamentava l’illiceità del trattamento ricevuto dai motori di ricerca rispetto a quanto previsto dal Regolamento in materia.
L’Autorità chiedeva, dunque, ai titolari del trattamento di fornire delle osservazioni circa la rimozione.
Di tal che, mentre Microsoft Corporation aderiva alle richieste del reclamante e, pertanto, procedeva alla rimozione dei contenuti contestati; Google LLC, invece, comunicava una decisione differente.
Più precisamente, il motore di ricerca dichiarava di aver adottato misure atte ad impedire il posizionamento della pagina in corrispondenza del nome dell’interessato. Tuttavia, asseriva di non poter aderire alla richiesta con riguardo a quei URL, relativi ad informazioni di cronaca giudiziaria ancora molto recenti, in quanto tratte da notizie pubblicate negli anni 2017 e 2018, dovendosi ritenere tuttora sussistente l’interesse del pubblico a conoscere della vicenda e non potendosi ravvisare gli estremi per l’esercizio del diritto all’oblio.
La decisione del Garante della Privacy
L’autorità, dichiarata preliminarmente la propria competenza e ritenuto fondato il reclamo, rilevava che la vicenda giudiziaria che aveva coinvolto l’interessato, pur avvenuta in tempi recenti, si è conclusa con l’applicazione della pena su richiesta delle parti per effetto della quale l’interessato è stato condannato ad un anno ed otto mesi di reclusione con beneficio della sospensione condizionale della pena.
Pertanto, in casi come questo, sull’applicazione del diritto all’oblio, si applica l’art. 24, comma 1, lett. e), del d.P.R. del 14 novembre 2002, n. 313 – recante il “Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di casellario giudiziale, di casellario giudiziale europeo, di anagrafe delle sanzioni amministrative dipendenti da reato e dei relativi carichi pendenti” –, stante al quale si esclude l’iscrizione del provvedimento di applicazione della pena su richiesta delle parti nel certificato del casellario giudiziale, automatismo espressamente riconosciuto nel provvedimento giudiziale pronunciato nei riguardi dell’interessato e risalente al 2017.
Invero, tale beneficio riconosciuto dall’ordinamento è finalizzato a limitare la conoscibilità della condanna subita da un determinato soggetto. Diversamente verrebbe pregiudicata la sfera giuridica dell’interessato.
Tanto premesso, il Garante Privacy con il provvedimento intimava alla società Google LLC di rimuovere i contenuti contestati quali risultati di ricerca reperibili in associazione al nominativo del reclamante, nel termine di venti giorni dalla ricezione del provvedimento.